Uno studio di Fondazione ANT sul burnout degli operatori sanitari durante la pandemia
Assistere a domicilio le persone malate di tumore durante l’epidemia
Cala il rischio di burnout tra i professionisti, cresce il senso di responsabilità
Uno studio di Fondazione ANT
L’epidemia da Covid-19 ha imposto profondi cambiamenti nell’organizzazione dei servizi sanitari e ha determinato l’insorgere di molteplici interrogativi, clinici, etici e logistici.
Anche per Fondazione ANT la pandemia ha portato – soprattutto nella sua fase iniziale nel marzo 2020 – un cambiamento nelle modalità assistenziali, per minimizzare il rischio di contagio.
I cambiamenti improvvisi, accompagnati dal timore di essere contagiati o di poter essere veicolo di contagio sia per i pazienti che per i propri cari, possono aver generato negli operatori sanitari vissuti di malessere psico-fisico e aver incrementato il livello di burnout, incidendo negativamente sulla soddisfazione lavorativa e sulla qualità dell’assistenza fornita.
Per questo motivo ANT ha deciso di svolgere una ricerca per indagare come i propri operatori sanitari hanno vissuto il lavoro, valutando il loro livello di burnout e le principali problematiche durante il periodo di pandemia.
Nel numero di novembre del Journal of Pain and Symptom Management sono stati pubblicati i risultati dello studio Caring Advanced Cancer Patients at Home During COVID-19 Outbreak: Burnout and Psychological Morbidity Among Palliative Care Professionals in Italy firmato da un panel di autori tra cui Raffaella Pannuti, Silvia Varani, Rita Ostan, Luca Franchini, Giacomo Ercolani di Fondazione ANT, il professor Guido Biasco dell’Università di Bologna e il professor Eduardo Bruera del Department of Palliative Care, Rehabilitation and Integrative Medicine MD Anderson Cancer Center – Houston, Texas.
Lo studio ha inteso indagare l’impatto che la pandemia Covid-19 ha avuto sulla morbilità psicologica e il burnout tra i professionisti dedicati all’assistenza domiciliare ai malati di tumore in Italia.
I risultati dell’indagine condotta nella fase 2 del lockdown 2020 su un campione di 145 tra medici e infermieri di assistenza domiciliare (su 198 invitati a partecipare, con un tasso di partecipazione del 73,2%) sono stati paragonati con i dati raccolti nel 2016 su analogo campione.
Una batteria di questionari è stata somministrata a medici e infermieri del dipartimento sanitario ANT, approfondita da 30 interviste telefoniche semi-strutturate condotte e analizzate dai ricercatori del Dipartimento Formazione e Ricerca della Fondazione.
I risultati mostrano che i livelli di burnout paradossalmente si sono abbassati: lo studio evidenzia infatti che i professionisti hanno presentato una minor incidenza di burnout e un grado più alto di realizzazione personale rispetto al 2016.
Al contrario, il rischio di morbilità psicologica è stato significativamente più alto durante il picco della pandemia. In conclusione, si può dire che nell’epoca del Covid-19 la consapevolezza di essere in prima linea nel contenimento dell’epidemia, insieme al senso di responsabilità nei confronti di pazienti ad alto rischio può aver fatto crescere il distress nei professionisti, ma, dall’altro lato, questa particolare condizione ha ottimizzato il loro senso di soddisfazione professionale e realizzazione personale
Nelle interviste gli operatori descrivono un forte impatto iniziale dovuto alla pandemia e raccontano come sia profondamente cambiata la loro quotidianità lavorativa, diventando più rischiosa e più complessa.
Tuttavia, la percezione di essere le uniche figure di riferimento per le famiglie ha giocato un ruolo decisivo nel loro benessere psico-fisico.
I medici e gli infermieri infatti raccontano che continuamente hanno lavorato per supportare e rassicurare le famiglie, costituendo in molti casi l’unica loro finestra relazionale su quello che avveniva fuori dalle mura di casa, durante tutto periodo di lockdown.
Sono stati il più delle volte gli operatori ANT – nella fase iniziale del marzo/aprile 2020 – a fornire i DPI di cui le famiglie necessitavano per proteggersi dal virus, e si sono occupati di educarle pazientemente alla prevenzione del contagio.
Questa situazione ha sicuramente fatto emergere un forte senso di responsabilità verso i pazienti e i loro caregiver, assieme alla ferma volontà di non abbandonarli.
In sintesi si può affermare che questi fattori siano stati protettivi per gli operatori sanitari ANT circa lo sviluppo di burnout in una situazione critica come quella che abbiamo attraversato.
Allo stesso modo, la ricerca rende evidente l’importanza delle cure palliative domiciliari durante un’emergenza sanitaria.
Un’importanza di cui ANT da più di 40 anni si fa portatrice. Lo studio è attualmente oggetto di follow up, a oltre un anno dal lockdown 2020: i ricercatori di ANT stanno infatti sottoponendo agli operatori della Fondazione i medesimi questionari per capire se, dopo oltre 12 mesi, in una condizione di cronicizzazione dell’emergenza, la situazione e gli stati d’animo personali hanno subìto delle evoluzioni.