Nasce il Centro Studi Franco Pannuti
Aspetti medico-legali in cure palliative, un convegno a Bologna
Il 2023 è un anno speciale per Fondazione ANT e per tutti coloro che gravitano attorno al suo mondo. Non solo e non tanto perché coincide con il 45esimo compleanno della Onlus italiana di riferimento nel campo dell’assistenza oncologica domiciliare gratuita, nata a Bologna nel 1978, quanto perché la ricorrenza si sta rivelando il più valido degli stimoli per migliorare ancora. Da una parte rafforzando e rilanciando alcune sue storiche iniziative, come le visite itineranti del ‘Tour della Prevenzione’ o i programmi di sensibilizzazione sui corretti stili di vita dedicati agli studenti delle scuole primarie. E dall’altra, compito non meno importante, battendo nuove strade per contribuire a costruire una Sanità di domani che sia davvero a misura di paziente (e di caregiver).
Guardare al futuro tenendo sempre presenti le proprie radici e i propri punti di forza, dunque, lungo una direttrice ideale sulla quale si inserisce alla perfezione la (ri)nascita del ‘Centro Studi Franco Pannuti’, il nuovo organo accademico-scientifico che ANT ha scelto di intitolare alla memoria del suo compianto fondatore. Del resto, fu proprio lo stimato oncologo padre della Fondazione e della sua attuale presidente, Raffaella Pannuti, a istituire nei primi anni ’90 quello che si chiamava ‘Centro di Coordinamento Studi ODO-ANT’ (dove la sigla ODO indica l’Ospedale Domiciliare Oncologico), al quale il neonato ‘Centro Studi’ guarda come al proprio diretto precursore.
Erano i tempi, quelli, in cui ANT traeva i primi bilanci di un percorso assistenziale innovativo, partito ufficialmente nel 1985 e declinato, casa per casa e letto per letto, secondo i criteri della “Eubiosia”, il concetto di “vita in dignità” tanto caro al prof. Pannuti. E l’organo scientifico di allora, come quello odierno, aveva proprio la funzione di coordinare gli sforzi di ricerca oncologica ai quali ANT prendeva e prende parte tuttora a vario titolo. Oltre a quella, altrettanto cruciale, di raccogliere, catalogare, elaborare e comunicare all’esterno i dati relativi al lavoro della Fondazione, contribuendo così anche a porre le basi per formare il proprio personale.
Nell’attesa di definire l’ampiezza e la composizione del suo Comitato Scientifico e nella speranza di riuscire a fare la differenza in termini di efficacia divulgativa nella maniera che si prefigge, il ‘Centro Studi Franco Pannuti’ può dunque contare, per cominciare, su un precedente illustre.
Il convegno
Ciò che più interessa la Fondazione è essere utili oggi, anche con la sua attività seminariale come il corso ECM sul tema degli aspetti medico-legali delle cure palliative ospitato il 14 marzo nel quartier generale bolognese di ANT. Il tema oggetto del corso, quello di un contenzioso medico-legale che rappresenta una delle aree di maggiore espansione in campo assistenziale, è del resto un fronte di discussione molto caldo. Sul quale spesso, parlando di sanità, si sconta il peso di timori giuridici, limiti di competenza clinica e di capacità relazionale.
Nelle cure palliative e nel fine vita, in particolare, l’asticella tra la sotto- e la sovra-medicazione appare quanto mai mobile, complici la visione dell’outcome, l’atmosfera carica di pathos e il ruolo della famiglia, che nelle fasi più critiche della vita si ramifica in atteggiamenti non di rado eterogenei e incoerenti, non condivisi dal malato. Anche perché la liceità operativa clinica in tale ambito non ha come metro di misura la guarigione o la quantità della vita, ma la sua qualità. Obiettivo, questo, che ha un dibattito etico aperto e vivace ma non ha un ampio contorno giuridico, sostanzialmente limitato al tema dell’eutanasia.
Un primo inquadramento della materia, per rispondere a chi si chiede se esista una medicina legale che si occupi della misurazione della qualità di vita nell’inguaribilità e identifichi i limiti oltre i quali si può incorrere in sanzioni giuridiche, lo ha fornito alla platea Susi Pelotti, professoressa ordinaria in Medicina Legale di Unibo e direttrice della Scuola di Specializzazione Medicina Legale dell’Alma Mater. Per “affrontare la cornice giuridica entro cui si muove la medicina legale in tema di responsabilità degli esercenti la professione sanitaria”, afferma Pelotti, bisogna fare riferimento “alla legge 24/2017, che tratta della responsabilità penale e civile affrontando anche il tema delle linee guida e buone pratiche”. Ma pure “alla legge 219/2017 in tema di consenso informato, pianificazione condivisa delle cure e disposizioni anticipate di trattamento”. Tenendo presente che quest’ultima, in ambito penale, “si è espressa sull’errore medico del ritardo di diagnosi in oncologia o del discostamento immotivato da linee guida”. In ambito civile, invece, risulta cruciale il tema del “danno da mancato ricorso alle cure palliative, ma anche del danno da lesione del diritto di autodeterminazione del paziente quando l’informazione e la comunicazione sono carenti”.
Una carenza di informazione, questa, affrontata, pur con un differente approccio, anche durante l’intervento di Paco D’Onofrio, professore associato del Dipartimento di Scienze per la Qualità della Vita dell’Università degli Studi di Bologna. Il quale, parlando di sanità territoriale, ha posto l’accento su come quest’ultima accezione dell’assistenza medica, “forgiando un solido patto sociale con la sua comunità di riferimento”, sia in grado di contribuire a “orientare le scelte di vita e di ricorso alle cure dei pazienti nella direzione migliore per loro stessi e per la collettività”. Mentre l’oncologo e medico ANT Giuseppe Gambino si è speso in un’approfondita analisi delle “dinamiche del rapporto tra la legislazione in materia sanitaria e l’attività quotidiana delle équipe di cure palliative oncologiche domiciliari”, soffermandosi su diversi aspetti spesso trascurati di questa “complessa relazione”.
Il medico di medicina generale e presidente della sezione bolognese dell’Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri, Luigi Bagnoli, ha descritto le cure palliative come “una forma di assistenza medica che cambia il paradigma dell’agire medico”. Poiché nell’accostarvisi “non si cercano la guarigione o il rallentamento della progressione della malattia, ossia i normali riferimenti oggettivi per valutare il successo di una terapia”, e un ruolo fondamentale lo gioca “la qualità della relazione umana, essenziale per un’efficace e rispettosa strategia terapeutica e di supporto al malato”. Con il limite spesso imposto, purtroppo, “dal frequente atteggiamento paternalistico che porta molti pazienti ad affrontare le cure palliative inconsapevoli delle proprie condizioni”. Da qui il bisogno di sensibilizzare in merito alla rispettosa “osservanza delle indicazioni bioetiche e deontologiche, oltre che legali, nel rapporto con i malati”, a partire dal versante del “consenso informato”.
Infine, tra i temi trattati durante il seminario è emerso con chiarezza anche il cruciale ruolo svolto nelle cure palliative dagli infermieri. I quali, secondo il presidente dell’Ordine delle Professioni Infermieristiche di Bologna, Pietro Giurdanella, “nella presa in carico della persona assistita ispira ogni sua azione, ogni sua decisione al Codice Deontologico”. Un documento, questo, che “rappresenta una ‘finestra’ attraverso la quale il cittadino vede uno spaccato del mondo infermieristico italiano e vede la promessa che la professione infermieristica fa alle persone: non vi lasceremo mai soli”. Ma la finestra, ha concluso Giurdanella, “può essere anche uno specchio, dove l’Infermiere, attraverso il Codice, vede sé stesso e l’impegno che il nostro tempo chiede a coloro che hanno l’onere e l’onore di prendersi cura degli altri”.